Academy Journal

Academy journal: la rivista ufficiale della piattaforma sarà presto online. 

Fermare la diffusione del sapere è uno strumento di controllo per il potere perché conoscere è saper leggere, interpretare, verificare di persona e non fidarsi di quello che ti dicono. La conoscenza ti fa dubitare. Soprattutto del potere. Di ogni potere. (Dario Fo)

INTRODUZIONE

Il bollettino “Academy Journal, Rivista italiana di management, organizzazione e clinica”, pubblica contributi inediti (ricerche, esperienze, progetti di case management Nazionali, rassegne di aggiornamento, case report, traduzioni ecc.) riferiti alla teoria e alla prassi assistenziale, nel campo della clinica e relativi alle discipline medico-biologiche e sociali, argomenti di organizzazione, di management di economia e politica sanitaria. Gli articoli proposti per la pubblicazione dovranno es- sere inviati via e-mail al seguente indirizzo: emanuele. bascelli@gmail.com oppure utilizzando direttamente il form presente sul sito di ACADEMY CASE MANAGEMENT ITALIA .

NORME EDITORIALI

Il testo degli articoli deve essere digitato utilizzando un programma di video scrittura (Word,Open Of ce, Page) e salvato possibilmente in .doc, su una facciata, con doppia spaziatura (lasciando sulla sinistra un margine di 5 cm). Il testo deve essere il più conciso possibile, compatibilmente con la massima chiarezza di esposizione: non si devono in ogni caso superare le 10-12 cartelle di 30 righe a 60 battute per riga. Gli articoli devono essere accompagnati da un riassunto significativo in italiano, per un massimo di 250 parole. I riassunti devono essere divisi in: Obiettivi, Materiali e Metodi, Risultati, Discussione, Conclusioni. Le gure e tabelle devono essere scelte secondo criteri di chiarezza e semplicità; devono essere numerate progressivamente in cifre arabe ed accompagnate da brevi ed esaurienti didascalie. Nel testo deve essere chiaramente indicata la posizione di inserimento. Diagrammi e illustrazioni, allestiti allo scopo di rendere più agevole la comprensione del testo, devono essere sottoposti alla rivista in veste grafica accurata, tale da permettere la riproduzione accurata senza modi che. Le citazioni bibliogra che devono essere strettamente pertinenti e riferirsi esclusivamente a tutti gli autori citati nel testo. Nel corpo del testo stesso i riferimenti bibliografici sono numerati secondo ordine di citazione; nella bibliografia al termine dell’articolo ad ogni numero corrisponde la citazione completa del lavoro al quale ci si riferisce. La bibliografia dovrà essere redatta secondo le norme riportate nell’Index Medicus. I modelli sotto riportati esempli cano rispettivamente come si cita: un articolo, un libro, un capitolo preso da un libro.

esempio bibliogra a:

1. Calvani M. Monitoraggio e trattamento della fetopatia dia- betica. Rec Progr Med 1982; 72:350-55.

2. Ferrata A, Storti E, Mauri C. Le malattie del sangue (2 ed.). Milano: Vallardi, 1958, pag. 74.

3. Volterra V. Crisi di identità storica ed attuale dello psichiatra. In: Giberti E (ed). L’identità dello psichiatra. Roma: Il Pensie- ro Scienti co Editore, 1982.

Ogni articolo è redatto sotto la responsabilità diretta dell’/degli Autore/i, che dovrà/dovranno rmare l’articolo stesso e fornire i riferimenti anagra ci completi, nonchè l’attuale ruolo, luogo e occupazione professionale. Quando il contenuto dell’articolo esprime o può coinvolgere responsabilità e punti di vista dell’Ente (o Istitu- to, Divisione, Servizi, ecc.) nel quale l’Autore o gli Autori lavorano o quando gli Autori parlano a nome delle stesse istituzioni, dovrà essere fornita anche l’autorizzazione dei rispettivi Responsabili. Gli articoli inviati alla Rivista saranno sottoposti all’esame della redazione e dei collaboratori ed esperti di riferimento per i vari settori. L’accettazione, la richiesta di revisione, o la non-accettazione saranno notificati e motivati per iscritto agli Autori entro il più breve tempo possibile, all’indirizzo e-mail che gli Autori avranno fornito per eventuali comunicazioni. Verrano presi in considerazioni tutti i contributi, che saranno soggetti a refereraggio, valutazione e correzione e la direzione editoriale risponderà non prima dei tre mesi. Se hai un progetto, un’idea, un’ esperienza, e non riesci ad impostarla scienti camente come vorresti, inviacela comunque e ti aiuteremo noi ad impaginarla e proveremo a renderla pubblicabile.

Riferimenti: emanuele.bascelli@gmail.com

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Ridurre gli sprechi

Ridurre gli sprechi e premiare il rigore scientifico nella ricerca biomedica: la campagna Lancet-REWARD

Secondo stime relative al 2010, le spese globali per la ricerca scientifica ammontano ad oltre 240 miliardi di dollari: se questi investimenti hanno indubbiamente determinato rilevanti miglioramenti di salute delle popolazioni, ulteriori traguardi potrebbero essere raggiunti eliminando sprechi e inefficienze nei processi con cui la ricerca viene commissionata, pianificata, condotta, analizzata, normata, gestita, disseminata e pubblicata. Oggi, infatti, la ricerca biomedica è afflitta da un fenomeno imbarazzante e sempre più diffuso: numerose scoperte inizialmente promettenti non determinano alcun miglioramento nell’assistenza sanitaria perché molti studi non riescono a concretizzare robuste evidenze da integrare nelle decisioni che riguardano la salute delle persone (1).

Il quadro sopra descritto consegue a un complesso sistema di azioni e relazioni tra diversi attori della ricerca, ciascuno dei quali agisce in sistemi che presentano rischi e fattori incentivanti. Le azioni risultano dall’interazione tra capacità (intellettive e fisiche del singolo di affrontare azioni specifiche), opportunità (fattori esterni all’individuo che rendono possibili le azioni) e motivazioni (driver che motivano e guidano i comportamenti).

Nel 1994 Douglas Altman nello storico editoriale The Scandal of Poor Medical Research denunciava la scarsa qualità nel disegno e nel reporting della ricerca, affermando che “ogni anno ingenti somme di denaro vengono investite per condurre ricerca gravemente viziata da disegni di studio inappropriati, campioni piccoli e non rappresentativi, metodi di analisi inadeguati e interpretazioni distorte” (2). Da allora le problematiche si sono moltiplicate e si sono accumulate consistenti evidenze del loro impatto, facendo emergere ulteriori preoccupazioni sulla scarsa qualità della ricerca.

Nel 2009 Chalmers et Glasziou identificavano le principali fonti di sprechi evitabili nella ricerca biomedica: quesiti di ricerca irrilevanti, qualità metodologica inadeguata, inaccessibilità dei risultati, studi distorti da reporting selettivi e altri tipi di bias (3). Senza considerare le inefficienze delle fasi di regolamentazione e gestione della ricerca gli sprechi ammonterebbero all’85% degli investimenti, un impatto talmente elevato che la discussione innescata da quell’articolo ha generato numerosi eventi finalizzati a esplorare strumenti e strategie per affrontare una situazione non più accettabile.

Nel 2012 la consapevolezza di questi fenomeni è stata accelerata dalla pubblicazione di Bad Pharma, saggio di Ben Goldacre che ha definito con estrema chiarezza le conseguenze per la salute pubblica che emergono dalla mancata pubblicazione o dal reporting selettivo degli outcome nella ricerca sponsorizzata dall’industria del farmaco (4). Questi problemi sono stati documentati per la maggior parte di aree della ricerca: farmacologica e non, di base e applicata, osservazionale e sperimentale, sugli uomini e sugli animali.

Nel 2013 una maggiore consapevolezza su questi temi ha favorito il lancio della campagna AllTrials (5), che chiede di registrare tutti i trial clinici e di pubblicarne tutti i risultati (6).

Nel gennaio 2014 The Lancet ha pubblicato la serie Research: Increasing Value, Reducing Waste (7) documentando che per aumentare il ritorno degli investimenti della ricerca (value) è necessario stabilire priorità più rilevanti (8), migliorare disegno, conduzione e analisi (9), ottimizzare le procedure di gestione e regolamentazione (10), garantire un adeguato reporting (11) e una migliore usabilità della ricerca (12). È stata quindi costituita la REWARD (REduce research Waste And Reward Diligence) Alliance (13) e lanciata la campagna Lancet-REWARD (14) che ha pubblicato il REWARD Statement (box) e le raccomandazioni con relativi indicatori di monitoraggio su cinque aree di potenziali sprechi della ricerca biomedica (figura): rilevanza della ricerca, adeguatezza del disegno dello studio, dei metodi e delle analisi statistiche, efficienza dei processi di regolamentazione e gestione, completa accessibilità ai dati, usabilità dei report.

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PENSARE “LEAN”

Impariamo a pensare in maniera “snella”. Lean, persone e sanità

Introduzione

L’elemento di complessità può essere legato al fatto che le trasformazioni richiedono la revisione di intere fasi di lavoro o di tutto il processo con team impegnati per un intera settimana e spesso per più di una. E’ anche sconvolgente quanto i principi lean vadano in controtendenza rispetto al senso comune – stravolgendo il concetto di economie di scala, di lavoro per lotti e attese etc. Molte di queste assunzioni sono profondamente radicate e spesso errate. Ma la più contro intuitiva di tutte è l’idea che si possa fare di più stressando meno il sistema.

Nella maggior parte delle organizzazioni di qualunque tipo, è dimostrato che per ogni attività che aggiunge valore dal punto di vista del cliente, ce ne sono almeno 9 che non aggiungono valore. Se non si tiene conto di questo, anche se riusciamo a migliorare la componente a valore aggiunto del 50%, complessivamente si avrà un impatto molto piccolo.
• Migliorare solo le componenti a valore aggiunto senza aggredire l’intero processo può non migliorare gran che l’efficienza. Un macchinario più veloce in laboratorio o un trasferimento più veloce del paziente dal Dipartimento di Emergenza al reparto può semplicemente significare che il campione o il paziente attenderà comunque da qualche parte in una fase successiva del processo.
Il Lean focalizza lo sforzo di Miglioramento sugli aspetti che più che contano per i pazienti ed il personale, sulle cause che provocano per loro stress nella loro attività quotidiana, diversamente al miglioramento legato al raggiungimento di standard esterni o obiettivi nazionali che tendono generalmente ad essere espressi in termini sono solo indirettamente connessi al miglioramento dell’assistenza per il paziente.

Lean e persone

Ogni azienda è simile ad un albero. Se voglio raccogliere buoni frutti è inutile che mi ostini a guardare la parte esterna: devo curarne le radici. Se non imparo a fare questo difficilmente raccoglierò i frutti che desidero. E le radici per un’azienda sono le persone.
Per questa ragione nei migliori progetti di miglioramento aziendale è necessario partire da percorsi di Lean Leadership, dando centralità alle persone prima che agli strumenti utilizzati per ottenere i risultati.
Il segreto per far funzionare processi eccellenti è quindi strettamente legato al sistema di Leadership individuale ed aziendale.
Il motivo fondamentale del fallimento di un progetto o del mancato sostenimento nel tempo dei risultati, risiede nelle lacune di Leadership da parte del Top e del Middle Management, dei Project Leader o dei membri del team.
Si preferisce inseguire i problemi invece che prevenirli, gestire stati di crisi piuttosto che rinforzare sistemi e processi in una visione di lungo termine.

In questa brevissima introduzione, Iniziamo a vedere un video sul metodo Toyota e una produzione negli stabilimenti in Emilia Romagna.

In questa linea la Produzione è quadruplicata, negli stessi spazi e quasi con lo stesso numero di addetti, difetti qualitativi ridotti del 90%. Difficile del resto prevedere esiti diversi, considerando che lo stabilimento in questione è Toyota, l’inventore dei metodi di lean production, ora diffusi in tutto il mondo. A Bologna l’assemblaggio dei carrelli elevatori avviene con precisione giapponese, rivisitata e arricchita in “salsa” emiliana. Come ci si organizza per ottenere questi risultati?

Entriamo In Fabbrica.

http://stream24.ilsole24ore.com/video/notizie/in-fabbrica-metodi-toyota-via-emilia/ACohcCqB#anchor_comments

Competenze nascoste

I top manager giocano troppo a nascondino
La competenza è stata nascosta troppo a lungo nei convegni e nella formazione: i board aziendali hanno difeso rendite di posizione e investito poco su se stessi

Quali competenze riescono a far emergere i soliti congressi fini a se stessi? Il capitale umano è fondamentale per lo sviluppo di una cultura del miglioramento continuo? Perché le competenze professionali e dei collaboratori rimango spesso nascoste ed è così complesso metterle in risalto? Perché non siamo cresciuti come speravamo e meritiamo veramente? Una rapida, ma riflessiva, lettura affronta in maniera ampia argomenti che potrebbero riguardare anche il nostro mondo professionale e che ci possono offrire alcuni spunti di riflessione. 

In un mercato come quello attuale dove le organizzazioni sono diventate “liquide” e dove la velocità del cambiamento è dieci volte più grande rispetto a quanto eravamo abituati a vedere sino alla fine degli anni Novanta, è del tutto evidente che la differenza competitiva di un’azienda non è data semplicemente dal know-how (che può essere copiato e/o migliorato) ma dalle persone che vi lavorano e dalla loro capacità di saper prevedere, interpretare e governare questo immenso frullatore globale.
In Italia, in questi ultimi anni, abbiamo assistito alla scomparsa o alla trasformazione di grandi aziende storiche: Indesit o Esselunga, per citare le più eclatanti, oggi non esistono più per come le abbiamo conosciute e tutto questo è coinciso con la scomparsa dei loro leader storici che, in molti casi, ne sono stati anche i fondatori.

Ma come è potuto accadere tutto questo? La risposta è da ricercarsi nella miopia dei board aziendali che, preoccupati a difendere rendite di posizione, non hanno pensato a coltivare le giuste competenze manageriali che gli avrebbero permesso un corretto passaggio generazionale: sì, proprio le famigerate competenze.

Se questo paese ha un gap di leadership a tutti i livelli, un motivo c’è. Infatti per troppo tempo le competenze sono state più oggetto di convegni per le HR o argomento di studio da parte di professori universitari di tutto il mondo. Ma quanto effettivamente hanno fatto da driver nella strategia delle aziende, specialmente italiane? Se si pensa che generalmente l’area Sviluppo Organizzativo – che si occupa proprio delle competenze, sistemi di valutazione, rewarding – è comunemente definita “soft” rispetto alla contrattualistica e al sindacale – che invece costituisce la parte “hard” – allora si riesce a capire come negli anni abbiamo perso competitività.

Infatti la competitività non è semplicemente legata a fattori “hard” quali tecnologia, impianti, strumenti e processi, ma soprattutto alla capacità di “sfornare” sempre nuovi leader che siano capaci di guidare le aziende in questo mercato sempre più complesso, avendo cura della risorsa più importante: le persone.
Ecco che alcune competenze come il “People managing” e lo “Strategic thinking” diventano sempre più attuali e differenzianti in uno scenario come quello che si sta prospettando o che, in molti casi, si è già manifestato.

In un passato abbastanza recente ricoprire posizione di vertice appariva più semplice. Gli ingredienti del successo erano il titolo di studio in accoppiata con l’eventuale master, la fedeltà, l’anzianità di ruolo (vero viatico ad una progressione verticale), una forte competenza tecnica (che ti faceva apprezzare dall’azienda specie a inizio carriera) e un buon network con il vertice (necessario a creare i presupposti per ricoprire poi un ruolo di top).

La crisi economica di questi ultimi anni ha scoperto il vaso di pandora, per cui numerosi top manager per la prima volta si sono trovati ad affrontare nuovamente il mercato del lavoro, scoprendo improvvisamente di essere fuori contesto e fuori mercato.
La verità è che la crisi oltre che distruttiva è stata anche “catartica”. Infatti con la forza di un uragano, ha spazzato via tutto ciò che non era “ancorato a terra saldamente”, mettendo a nudo contraddizioni, sprechi e sovrastrutture. Lo sviluppo di una coscienza comune orientata alla valutazione e all’attenzione verso driver comportamentali alternativi ha reso più fragile la classe manageriale dei baby boomers. Ecco che competenze distintive come il coraggio, inteso come forza di allargare la propria comfort zone e come capacità di mettersi in gioco con strumenti e scenari nuovi (si pensi alla rivoluzione digitale e alla prepotenza con cui i social media sono entrati anche nella vita delle aziende), e il Lateral Thinking, inteso come la capacità di osservare la realtà con interpretazioni fuori dagli schemi e non consuete, hanno sfidato oggi i ruoli di leadership più solidi.

Se i top manager del sistema industriale italiano smetteranno di pronunciare slogan e si focalizzeranno sul serio su una gestione corretta delle competenze personali e dei propri collaboratori, allora riusciremo a vincere la sfida della competitività. In caso contrario ci toccherà fare come il filosofo greco Diogene, girando con una lanterna al buio alla ricerca di un leader.

di Marco SCIPPA, esperto di gestione e sviluppo del personale e Hr director, ‘senzafiltro’, 26 ottobre 2016

Linea Guida: Emorragia post partum 2016

Linea Guida: emorragia post partum 2016 (fonte SNLG Italia)

Le linee guida rappresentano uno strumento utile a garantire il rapido trasferimento delle conoscenze elaborate dalla ricerca biomedica nella condotta clinica quotidiana. Si tratta di raccomandazioni di buona pratica – formulate da panel multidisciplinari di professionisti – in cui trovano opportuna sintesi le migliori prove disponibili in letteratura e le opinioni degli esperti, a beneficio degli operatori sanitari e degli amministratori, per una migliore qualità e appropriatezza dell’assistenza resa al paziente. Le linee guida non offrono degli standard di cura cui riferirsi acriticamente e in maniera decontestualizzata. Al contrario, tali standard devono potersi esprimere, per ogni singolo caso, sulla base delle informazioni cliniche disponibili, delle preferenze espresse dai pazienti e delle altre circostanze di contesto, accuratamente vagliate alla luce dell’expertise dei professionisti sanitari. Per tale ragione, l’aderenza alle linee guida non rappresenta di per sé la garanzia di un buon esito delle cure. In definitiva, spetta alla competenza e al discernimento dei professionisti, in attento ascolto delle istanze particolari e in considerazione dei valori espressi dai pazienti, stabilire quali procedure o trattamenti siano più appropriati per la gestione dei singoli casi clinici. Tuttavia, ogni significativa deviazione dalle raccomandazioni espresse nelle linee guida – in quanto regole di condotta riconosciute, ben fondate e largamente condivise – dovrebbe sempre poter trovare delle motivazioni basate su solide valutazioni di opportunità, argomentate e chiaramente esplicitate nella documentazione clinica.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) afferma che l’emorragia del post partum (EPP) è, a livello globale, la prima causa di mortalità e grave morbosità materna.

La condizione è infatti responsabile di circa un quarto delle morti che avvengono in gravidanza, al parto o durante il puerperio (WHO 2012), di cui la gran parte si verifica nei paesi del Sud del mondo (Khan 2006).

Una revisione sistematica (Calvert 2012) riporta una prevalenza di EPP con perdita ematica ≥500 ml globalmente pari al 10,8% (IC 95%: 9,6-12,1). Il dato presenta un’ampia variabilità regionale compresa tra il 7,2% (IC 95%: 6,3-8,1) in Oceania e il 25,7% (IC 95%: 13,9-39,7) in Africa. La stessa condizione presenta una prevalenza dell’8% in America Latina e in Asia e del 13% in Europa e Nord America. La prevalenza di EPP maggiore, con perdita ematica ≥1.000 ml, è invece significativamente più bassa, con una stima globale del 2,8% (IC 95%: 2,4-3,2) (Calvert 2012). Anche per l’EPP grave il continente Africano registra la prevalenza maggiore, pari al 5,1% (IC 95%: 0,3-15,3), seguita dal 4,3% in Nord America e dal 3% in America Latina, Europa e Oceania. L’Asia detiene la prevalenza più bassa della condizione pari al 1,9%. Nelle ultime due decadi molti studi hanno riportato un aumento di incidenza dell’EPP anche nei paesi industrializzati nonostante questa condizione sia storicamente meno frequente nei paesi a sviluppo economico avanzato (Ford 2007, Joseph 2007, Knight 2009, Lutomskj 2012, Mehrabadi 2013, Rossen 2010). Su oltre 8 milioni di parti assistiti negli Stati Uniti tra il 1999 e il 2008, l’incidenza di EPP grave è passata da 1.9 a 4,2 casi per 1.000 parti (Kramer 2013). In Canada, Australia e Stati Uniti d’America l’International Postpartum Hemorrhage Collaborative Group ha rilevato un aumento di incidenza di EPP primaria da atonia uterina tra il 1991 e il 2006 (Knight 2009). In Canada l’EPP (Joseph 2007) è responsabile anche di circa il 50% del totale dei casi incidenti di grave morbosità materna. In Australia è stato stimato che per ogni morte materna si verifichino almeno 80 casi di grave morbosità materna da causa emorragica (Royal Women’s Hospital Victoria 2013).

Epidemiologia dell’emorragia post partum in Italia

In Italia il Ministero della Salute ha sostenuto con continuità, tramite finanziamenti del Centro nazionale per la prevenzione e il Controllo delle Malattie (CCM), una serie di progetti multiregionali coordinati dall’ISS con l’obiettivo di raccogliere dati affidabili e di qualità sulla mortalità e grave morbosità materna. Dal 2015 la sorveglianza ostetrica coinvolge 8 regioni (Lombardia, Piemonte, Emilia-Romagna, Toscana, Lazio, Campania, Puglia e Sicilia) con una copertura del 73% dei nati del paese. La disponibilità di un sistema di raccolta dati stabile e accurato rappresenta un elemento operativo ineludibile per un monitoraggio delle modalità assistenziali che sia in grado di rilevare sia le buone pratiche che le aree critiche suscettibili di miglioramento, con l’obiettivo di abbandonare la cultura della colpevolizzazione.

Il documento è stato organizzato in due grandi sezioni:

una parte principale che riporta per ciascun argomento di interesse i quesiti formulati dal panel, una breve descrizione di carattere generale dell’argomento, l’interpretazione delle prove e le raccomandazioni per la pratica clinica; la bibliografia è riportata in ordine alfabetico a conclusione di ogni capitolo. Questa parte del documento, che si apre con una breve sezione dedicata alla definizione della emorragia del post partum (EPP), permette al lettore di prendere in esame i singoli aspetti della prevenzione e trattamento dell’EPP e accedere all’interpretazione delle prove e alle raccomandazioni formulate dal panel.

tre appendici che riportano per ciascun argomento di interesse i quesiti formulati dal panel, la descrizione degli studi inclusi, i punti chiave dell’argomento e la descrizione narrativa delle prove. Questa parte del documento permette al lettore di accedere alla descrizione narrativa di tutti gli studi inclusi e utilizzati per lo sviluppo della linea guida. Gli esiti giudicati dal panel rilevanti per i quesiti clinici e le tabelle GRADE in cui le informazioni estratte dalla letteratura sono state tabulate per rendere trasparente il livello della prova di efficacia sono disponibili on-line sul sito SNLG-ISS (http://www.snlg-iss. it), all’indirizzo http://www.snlg-iss.it/lgn_EPP.

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Direttamente dal nostro sito web e in formato elettronico pdf, potrai scaricare l’ultimo numero di “CMSA Today” (issue 7 2016), il bollettino elettronico informativo edito dal Case Management Society, con due contributi molto interessanti: “la competenza culturale del case manager” e la “diversità“, argomenti di cui, tempo fa, anche noi ne abbiamo parlato in due news.

Sono approfondimenti culturali molto interessanti e, se dovessimo ricevere molti download e manifestazioni di interesse, procederemo a renderlo disponibile in italiano, sempre qui sul nostro porale web e, ovviamente, sempre gratuito.

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