Aria e luce: antichi rimedi o pratiche ancora attuali contro la diffusione delle infezioni?
Aprire le finestre per far entrare aria e luce nella stanza è, da sempre, la prima cosa che si fa in presenza di una persona malata.
Già nel 1860 Florence Nightingale (1), tra gli aspetti sottolineati nelle sue Notes on nursing, individuava come rilevanti per l’assistenza e la cura le condizioni di ventilazione e riscaldamento (ventilation and warming) e la presenza di luce naturale (light).
Secondo Nightingale il primo obiettivo dell’assistenza è legato alla qualità dell’aria respirata dal paziente: il fattore più importante a cui ogni operatore assistenziale deve prestare attenzione è di mantenere l’aria interna pulita quanto quella esterna (2). In quel periodo questo significava effettuare ripetuti ricambi d’aria attraverso l’apertura delle finestre, possibilmente in orari di temperatura mite, avendo cura di mantenere calda la stanza, se necessario anche attraverso l’accensione dei camini per non far prendere freddo al paziente allettato.
Secondo aspetto indicato nelle Notes per favorire i processi di guarigione è la luce naturale: nelle sue parole, quello che fa più male ai pazienti, dopo gli spazi chiusi, sono gli spazi bui (3).
Fin dalla fine dell’800 aria e luce sono considerate due condizioni ambientali decisive per favorire la guarigione e migliorare il benessere dei pazienti in ospedale. Ma a seguito dell’evoluzione delle pratiche mediche e di assistenza da una parte e delle tecnologie per la costruzione degli spazi ospedalieri dall’altra, questi due aspetti sono ancora attuali? Esiste qualche prova scientifica dell’effettiva efficacia di luce e aria sugli outcome clinici dei pazienti?
In sistemi ospedalieri nei quali sempre di più le condizioni ambientali (temperatura, umidità, pressione dell’aria, luce) sono affidate a sistemi di regolazione automatica, è ancora possibile pensare di lasciare un margine di azione agli operatori e, forse, anche ai pazienti (4)?
Anche sulla spinta della sempre maggiore esigenza di contenere i costi di gestione delle strutture ospedaliere e in relazione ai temi di sostenibilità ambientale, esiste un dibattito corposo a livello internazionale sul tema della ventilazione naturale per il controllo delle infezioni, che ha portato nel 2009 alla stesura di linee guida da parte della World Health Organization (WHO). Numerose sono ricerche sviluppate negli ultimi anni finalizzate a comparare gli effetti della ventilazione naturale e della ventilazione meccanica sul controllo delle infezioni, soprattutto in relazione a interventi di ristrutturazione dei reparti di degenza.
Relativamente alla luce solare, sono state recentemente condotte alcune ricerche che ne dimostrano l’efficacia soprattutto nel combattere le infezioni fungine.
Aria: ventilazione naturale vs ventilazione meccanica
Sono poche le ricerche scientifiche che individuano nella ventilazione un fattore determinante nel ridurre la diffusione delle infezioni ma molti studi dimostrano che l’insufficiente ventilazione provoca un aumento della trasmissione delle patologie. La revisione della letteratura condotta su questo tema dal gruppo di lavoro impegnato nella stesura delle WHO Guidelines natural ventilation for infection control in healthcare settings (2009) ha portato a concludere che, dopo anni di ricerca su ventilazione e infezioni, le informazioni disponibili sono ancora incomplete e insufficienti a definire i tassi di ventilazione minimi nelle aree ospedaliere a maggior rischio di diffusione di infezioni.
Anche per questo motivo, sia a livello scientifico che al livello più operativo della progettazione e della gestione delle strutture ospedaliere, non esiste una linea di intervento condivisa supportata dalla dimostrazione dell’efficacia delle diverse strategie. Colmare questo gap – evidentemente presente non solo a livello nazionale ma anche nel resto del mondo – è la finalità delle WHO Guidelines (5), che escono per la prima volta nel 2009 e per le quali si attende un aggiornamento programmato per il 2014-2015.
Ventilare un edificio e cioè far muovere e distribuire l’aria al suo interno, equivale a diluire gli agenti inquinanti e le particelle infettive presenti, ottenendo aria più pulita e sana. Questo può avvenire in 3 modi: in maniera naturale, attraverso la ventilazione meccanica, con sistemi misti.
La ventilazione naturale si basa sullo sfruttamento di alcune caratteristiche ambientali (il clima, l’orientamento, le correnti) per facilitare l’innesco di meccanismi di regolazione climatica degli edifici. Sia le soluzioni più semplici, quali il passaggio dell’aria per effetto dell’apertura delle finestre, che quelle più complesse (i camini solari, le torri del vento), si basano sulla presenza o sulla creazione di una differenza di temperatura tra interno ed esterno che innesca il movimento dell’aria.
Il funzionamento delle strategie di controllo microclimatico passivo (6) dipende da 3 fattori, l’un l’altro relazionati: la corretta analisi dei fattori ambientali di contesto, la corretta progettazione degli elementi del sistema, il loro corretto utilizzo. Se adeguatamente progettato e gestito un edificio con regolazione naturale della ventilazione risulta essere molto più economico ed energeticamente sostenibile se paragonato ad uno che ricorre a sistemi meccanizzati. D’altra parte, il suo funzionamento è variabile nel corso dell’anno in relazione al cambiamento del clima e delle stagioni e la sua appropriatezza è strettamente legata alle specifiche caratteristiche del contesto (oltre al clima, il rumore, la presenza di insetti, l’inquinamento, la sicurezza); inoltre i sistemi naturali non garantiscono nessun filtraggio dell’aria.
La grande efficacia della ventilazione naturale è stata dimostrata da numerosi studi, tra i quali il più famoso è quello condotto comparando la ventilazione naturale di 5 ospedali oldfashioned con quella generata dai di sistemi meccanizzati di 3 strutture progettati secondo criteri moderni (7). Le analisi condotte sulle camere di pazienti infettivi dimostrano che la quantità di aria ricambiata tramite ventilazione naturale è circa 2,5 volte quella fornita dagli impianti di condizionamento, con 40 ricambi d’aria/ora contro 17.
La ventilazione meccanica è realizzata attraverso l’installazione di dispositivi impiantistici che regolano l’immissione e l’estrazione dell’aria, sulla base della rilevazione dei parametri termoigrometrici e ambientali. I vantaggi dell’utilizzo di un sistema meccanizzato, oltre alla non dipendenza dalle condizioni climatiche e ambientali esterne, sono legati alla possibilità di filtrare l’aria e di regolare una grande varietà di parametri: non solo temperatura e umidità, ma anche pressione e direzione del flusso, di difficile controllo in un sistema a ventilazione naturale. Rappresentano invece un problema rilavante gli alti costi per l’alimentazione e la manutenzione degli impianti, dalla gestione dei quali dipende l’efficienza del sistema. Inoltre, nonostante la regolarità dei controlli e della manutenzione, il loro corretto funzionamento non è sempre garantito. In alcune rilevazioni condotte sulle camere di isolamento dei pazienti infettivi è stata riscontrata un percentuale molto rilevante (38%) di situazioni con direzionalità errata del flusso dell’aria (8).
Dato che entrambi i sistemi presentano vantaggi e svantaggi (vedi tabella) e che nessuno dei due è in assoluto preferibile, risultano particolarmente interessanti alcune soluzioni ibride (hybrid o mixed-mode ventilation systems) e di ventilazione naturale assistita (computer controlled o high-tech natural ventilation systems), che utilizzano la ventilazione meccanica a supporto di quella naturale, quando i tassi di ventilazione non sono sufficienti.
A prescindere da quale sia l’opzione scelta, la determinazione del sistema di ventilazione è cruciale per la definizione delle caratteristiche dell’edificio e, come tale, diventa un elemento chiave per le attività di progettazione, condizionando la successiva gestione della struttura. Le caratteristiche dell’edificio, il suo orientamento, la dimensione dei suoi corpi di fabbrica, il posizionamento e la superficie delle aperture, determinano l’efficacia e il funzionamento del sistema prescelto. Un edificio che “funziona” con la ventilazione naturale avrà rapporti dimensionali e volumetrici diversi da quelli di uno pensato per avere la ventilazione meccanica: i connotati architettonici tipici degli edifici ospedalieri ottocenteschi, ad esempio, con alti soffitti, grandi aperture e chiostri interni, rispondevano all’esigenza di favorire la ventilazione naturale e il raffrescamento. Per applicare queste strategie a edifici ospedalieri contemporanei (“a piastra”, con “corpo quintuplo”) non è sufficiente aprire le finestre, ma occorre un ripensamento globale del sistema di ventilazione.
Il panorama internazionale risulta piuttosto eterogeneo: la scelta della ventilazione naturale, di quella meccanica o di soluzioni ibride varia in relazione sia dalle esigenze specifiche della struttura ospedaliera e del sistema sanitario, sia dalle risorse economiche e tecnologiche disponibili che, infine, dai contesti culturali.
Mentre negli Stati uniti in tema di sistemi di condizionamento prevalgono le considerazioni legate alla sicurezza e si preferiscono sistemi meccanizzati per la totalità degli spazi ospedalieri (9), nel Regno unito queste sono stemperate da considerazioni di carattere economico e di sostenibilità ambientale: il National Health Service (NHS) suggerisce di limitare l’utilizzo di impianti per la ventilazione meccanica alle aree critiche ai fini della trasmissione delle infezioni (blocco operatorio, terapie intensive, reparti infettivi), utilizzando in prevalenza la ventilazione naturale per il resto degli ambienti.
La strategia anglosassone, che fa corrispondere la complessità della tecnologia impiantistica con le aree maggior rischio di diffusione delle infezioni risulta opportunamente bilanciata e attuale in considerazione di due fattori:
il trattamento dell’aria è uno degli elementi più energivori degli organismi ospedalieri (Mills, 2004);
il ritardo che c’è tra il ricovero del paziente e la diagnosi di un evento infettivo rende particolarmente critiche per la trasmissione delle infezioni le aree di attesa e gli spazi comuni dell’ospedale.
Riservare quindi gli impianti di ventilazione più costosi, complessi e delicati dal punto di vista della manutenzione e gestione alle aree più critiche sotto il profilo delle infezioni e adottare strategie di ventilazione naturale per le aree low-care (attese, ambulatori, reparti di degenza ordinaria) può rappresentare una strada per raggiungere un ottimale compromesso tra esigenze di sicurezza clinica (in crescita) e risorse economiche e ambientali (in precipitosa diminuzione).
Luce solare
La convinzione che gli ambienti soleggiati siano più salubri di quelli bui e oscuri risale alla metà dell’800, quando nel 1877 Arthur Downes e Thomas Blunt esponevano alla Royal Society la teoria che la luce inibiva la crescita dei batteri in vitro. Dal 1877 al 1895, furono compiuti una serie di studi che dimostravano che la luce solare poteva essere in grado di distruggere alcuni ceppi batterici. Questi studi coincidevano con la scoperta che i batteri potevano essere la causa di malattie fatali per l’uomo. Nel 1890, all’International Medical Congress a Berlino, Koch dichiarò che la luce solare aveva un effetto letale sul bacillo tubercolare, la luce diretta poteva infatti uccidere il bacillo in pochi minuti, o in diverse ore se filtrata dal vetro. Negli anni che seguirono alle osservazioni di Koch, altri studiosi approfondirono questo tema, generalmente supportandolo. La scoperta di Koch influenzò notevolmente l’architettura ospedaliera di quel periodo, molti dei migliori ospedali e sanatori, costruiti per il trattamento della tubercolosi, erano edifici “solari”. Alcuni medici come Bernhard, Rollier e Gauvain incoraggiarono e parteciparono alla progettazione e costruzione di edifici in cui veniva enfatizzato il ruolo della luce solare e dell’areazione naturale utili nella prevenzione e nel trattamento della tubercolosi. Queste teorie furono riprese da Le Corbusier (1887-1965), uno degli architetti più influenti del XX secolo, nella progettazione della Citè industrielle sia per quanto riguarda gli edifici dedicati a civile abitazione sia per l’ospedale caratterizzato da un edificio dedicato alla terapia solare. Durante la I Guerra mondiale la terapia con la luce solare, conosciuta più comunemente come elioterapia, fu usata per trattare le ferite provocate da armi da fuoco. Le proprietà terapeutiche della luce ultravioletta destarono l’attenzione della professione medica durante i primi anni del XX secolo per merito del lavoro di Niels Finsen (1860-1904). Finsen fu il secondo premio Nobel per la Medicina, premiato per i suoi studi sul trattamento della tubercolosi cutanea con luce ultravioletta. A lui si deve oltre all’utilizzo della luce solare per scopi clinici alla ricerca condotta in maniera scientifica sui suoi possibili effetti.
Un altro utilizzo importante della luce solare è stato nel rachitismo, malattia che negli anni ’30 rappresentò un rilevante problema di salute pubblica. Il rachitismo è causato dalla carenza di vitamina D e colpisce soprattutto i bambini, non è una malattia di origine batterica ma può accrescere il rischio di contrarre un’infezione. In quegli anni la vitamina D era messa in stretta relazione solo con la mineralizzazione ossea e l’accrescimento scheletrico, oggi sappiamo che è coinvolta nel sistema immunitario.
Per molti anni nella progettazione degli edifici, la luce solare diretta è stata un elemento ritenuto importante per la tutela dell’igiene degli ambienti.
La luce solare può prevenire la trasmissione delle infezioni sia direttamente che indirettamente:
la radiazione solare può essere considerata nell’ambiente un buon germicida, distrugge infatti microrganismi patogeni che causano diversi tipi di infezioni;
la luce solare diretta può aumentare le difese immunitarie dell’individuo e quindi la sua resistenza alle malattie.
Le ragioni di questa capacità non sono però chiare. Alcuni ricercatori suggeriscono che possa essere dovuta all’intensità della luce solare o ai raggi infrarossi o ad ambedue. Le linee guida del WHO sulla prevenzione delle infezioni in ospedale presentano scarsi riferimenti alla luce solare, si riscontra un cenno alla luce solare solo quando si descrivono le camere per pazienti affetti da infezioni trasmissibili per via aerea, che dovrebbero essere singole, esposte alla luce del sole, avere una pressione negativa e 6-12 ricambi aria /ora.
Negli ultimi anni la comunità scientifica ha accettato che vi sia un forte collegamento tra il benessere della persona ed il funzionamento del suo sistema immunitario. La depressione è potenzialmente una condizione in cui il rischio di contrarre un’infezione aumenta notevolmente.
Non vi è nessuna evidenza invece che i pazienti ospedalizzati acquisiscano una maggiore resistenza alle infezioni se sono ricoverati in ambienti illuminati dalla luce solare. Nuove evidenze mostrano però che la capacità del sistema immunitario di sconfiggere i microrganismi patogeni è controllata dal ritmo circadiano.
Conclusioni
La modalità terapeutica come “il bagno di sole”, che all’inizio del secolo rappresentava una pratica ampiamente diffusa o la teoria che la luce naturale e in particolare che la luce solare diretta avessero un forte effetto germicida nel corso del tempo hanno perso di importanza; così come nel tempo si è preferito affidarsi a sistemi impiantistici sempre più sofisticati per garantire l’adeguato ricambio d’aria negli spazi ospedalieri. Abbiamo evidenza, da recenti studi sulla trasmissione di agenti patogeni, che la ventilazione naturale determina riscontri positivi mentre non vi è nessuna evidenza per quanto riguarda la luce solare.
La moderna architettura ospedaliera, per come è concepita nel contesto nazionale, da una parte tende a privilegiare i sistemi meccanizzati per la ventilazione degli ambienti e dall’altra sfrutta l’apporto di luce solare più per fini energetici che per obiettivi terapeutici e di riduzione delle infezioni. Si ritiene necessario non abbandonare queste conoscenze e stimolare nuovi studi ricordando che la costruzione di degenze ospedaliere con poca luce solare può incrementare il rischio di infezione, la depressione ed altre patologie e tenere presente che la luce solare non può prescindere da una corretta ventilazione.
Note
Florence Nightingale (1820-1910) è un’infermiera britannica considerata la fondatrice dell’assistenza infermieristica moderna.
«The very first canon of nursing […] is this: TO KEEP THE AIR HE BREATHES AS PURE AS THE EXTERNAL AIR, WITHOUT CHILLING HIM». Da: NIGHTINGALE F., Notes on nursing: what it is and what it is not, D. Appleton and Company, 1860.
«It is the unqualified result of all my experience with the sick, that second only to their need of fresh air is their need of light; that, after a close room, what hurts them most is a dark room». Da: NIGHTINGALE F., Notes on nursing: what it is and what it is not, D. Appleton and Company, 1860.
«It is very desirable that the windows in a sick room should be such that the patient shall, if he can move about, be able to open and shut them easily himself». Da: NIGHTINGALE F., Notes on nursing: what it is and what it is not, D. Appleton and Company, 1860
Il documento, redatto dopo due anni di studio da parte di un team multidisciplinare di ingegneri, architetti, microbiologi ed esperti nel controllo delle infezioni, costituisce un orientamento operativo per progettisti e gestori di strutture sanitarie, ma anche per il personale sanitario. L’obiettivo delle linee guida è duplice: da una parte promuovere il ricorso alla ventilazione naturale per il controllo delle infezioni negli ambienti sanitari; dall’altra fornire i principi base per la progettazione, la costruzione e la manutenzione di sistemi efficaci per la ventilazione naturale.
Le strategie di controllo microclimatico passivo sono quelle che minimizzano l’uso di dispositivi tecnologici e di impianti meccanici, sfruttando l’efficienza degli scambi termici tra edificio e ambiente. Nella progettazione architettonica i termini “passivo” e “attivo” si riferiscono alle strategie adottate per la climatizzazione; quelle “passive” si basano prevalentemente sulle caratteristiche dell’edificio e del contesto, quelle “attive” sull’uso di impianti.
La ricerca è stata condotta da Adrian Roderick Escombe su 8 ospedali a Lima in Perù ed è stata pubblicata nel 2007 su PLoS Medicine.
Nelle indagini di Nicholas Pavelchak e Ronald Depersis sono state esaminate 140 camere di degenza per pazienti infettivi in 38 diverse strutture ospedaliere dal 1992 al 1998.
Le linee guida della American Society of Heating, Refrigerating and Air-Conditioning Engineers (ASHRAE) suggerisce la ventilazione meccanica per tutti gli ambienti ospedalieri. (ASHRAE, HVAC design manual for hospitals and clinics, Atlanta, USA, American Society of Heating Refrigerating and Air-Conditioning Engineers Inc., 2007).
Riferimenti bibliografici
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Atkinson J, Chartier Y, Pessoa-Silva CL, Jensen P, Li Y, Seto WH. Natural Ventilation for Infection Control in Health-Care Settings, WHO Publication/Guidelines, 2009.
http://www.who.int/water_sanitation_health/publications/natural_ventilation.pdf
Escombe AR, Oeser CC, Gilman RH, Navincopa M, Ticona E, Pan W, Martinez C, Chacaltana J, Rodriguez R, Moore DAJ, Friedland JS, Evans CA. Natural Ventilation for the Prevention of Airborne Contagion, PLoS Medicine, February 2007, Volume 4, Issue 2, e68, pp. 309-317.
Mills F. Indoor air standards in hospitals, Business Briefing: Hospital Engineering and Facilities Management, 2004, pp. 43–46.
Pavelchak N et al. Identification of factors that disrupt negative air pressurization of respiratory isolation rooms, Infection Control and Hospital Epidemiology, 2000, 21(3), pp.191–195.
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Virginia Serrani – Università degli Studi di Firenze
Giovanna Paggi – Centro Oncologico Fiorentino
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