sinossi a cura di Roberto Cagnazzo
Sempre più diffusa è l’organizzazione dell’ospedale in un nuovo modello che prevede aree distinte, secondo l’intensità di cura e di assistenza, allo scopo di aumentare l’appropriatezza dei ricoveri.
L’aumento della domanda di salute, il modificarsi dei bisogni della popolazione e lo sviluppo della rete territoriale ha portato ad una profonda revisione del ruolo dell’ospedale che diviene sempre più luogo di gestione delle acuzie.
All’ospedale “moderno”, organizzato per livelli di intensità di cura e di assistenza, si chiede di mettere al centro la persona e le sue necessità e di aprirsi al territorio per permettere la continuità delle cure per periodi di lunga durata.
L’Ospedale per intensità di cura intende la presa in carico dei pazienti in termini di complessità del quadro clinico e di intensità di assistenza e vede la presenza di “setting” non più suddivisi in reparti secondo le discipline dei vari professionisti, ma organizzati in base alle esigenze di cura dei pazienti.
Il trattamento ai vari pazienti, consegue ad una valutazione di instabilità clinica associata a determinate alterazioni dei parametri fisiologici e alla complessità assistenziale.
Entrambi sono parametri interconnessi tra loro, ma non sempre sovrapponibili.
Difatti alcuni pazienti clinicamente stabili hanno una complessità assistenziale molto alta; al contrario pazienti ad elevata instabilità clinica, presentano invece una bassa complessità assistenziale.
E’ quindi necessario che siano identificati criteri di passaggio, accesso ed esclusione per i diversi livelli di cura nonché strumenti di valutazione in grado di permettere una prima differenziazione della criticità, complessità, dipendenza assistenziale e valutazione del rischio di un rapido deterioramento clinico, in modo da individuare coloro che necessitano di cure ad alta, media e bassa intensità e favorire l’allocazione iniziale nel setting più adeguato e i successivi trasferimenti in relazione al cambiamento delle condizioni del paziente.
L’Instabilità clinica è correlata all’alterazione dei parametri fisiologici (pressione arteriosa, frequenza cardiaca, frequenza respiratoria, temperatura corporea, livello di coscienza, saturazione dell’Ossigeno) e permette di identificare il rischio di un rapido peggioramento clinico o di morte.
Viene in genere valutata con gli Early warning scores. Raffigurata in figura la scala MEWS (MODIFIED EARLY WARNING SCORE) in cui i pazienti vengono stratificati in:
- BASSO/STABILE (score 0-2)
- MEDIO/INSTABILE (score 3-4)
- ALTO RISCHIO/CRITICO (score 5).

Altra variante è data dalla scala NEWS (NATIONAL EARLY WARNING SCORE) che pone attenzione sul riconoscimento tempestivo della gravità e dell’appropriatezza di intervento.
Il NEWS, come tutti i sistemi EWS e come si evince dalla figura rappresentata di seguito, si fonda su sei misurazioni di parametri fisiologici, ovvero:
- frequenza respiratoria
- saturazione dell’ossigeno
- temperatura corporea
- pressione sistolica
- frequenza cardiaca
- stato di coscienza

Il punteggio è determinato però da sette parametri complessivi a cui viene attribuito un valore numerico a seconda di quanto ci si discosta dalla fisiologia normale; ai sei già citati va ad aggiungersi l’eventuale utilizzo di O2 tp.
In definitiva, ad ognuno dei sei parametri fisiologici si attribuisce un punteggio che ne riflette la compromissione. I sei punteggi vengono quindi sommati e, nel caso sia necessaria l’ossigenoterapia, si aggiunge il valore numerico di 2.
Il punteggio NEWS fornisce 3 livelli di allerta clinica:
- basso: punteggio da 1 a 4
- medio: punteggio da 5 a 6, oppure un punteggio pari a 3 per un singolo parametro che significa la variazione estrema di quel parametro che viene segnalato in “rosso” della carta di osservazione
- alto: punteggio ≥7.
La regione Toscana ha tradotto il documento originale sul NEWS che il Royal College of Physicians ha commissionato all’Acute Medicine Task Force, stilando un documento regionale di indirizzo nell’ambito della collana “Linee Giuda-Regioni”, che rappresenta un importante strumento di lavoro per l’implementazione di questo score di allerta precoce, nell’ambito dei progetti di riorganizzazione per intensità di cura.
Per quanto riguarda la complessità assistenziale studi fatti in questi anni hanno dato luce a diversi metodi di misurazione.
Riportiamo di seguito i principali strumenti a nostra disposizione.
– IDA (Indice di dipendenza assistenziale): determina l’impegno assistenziale su di una serie di variabili di dipendenza determinate da un punteggio in grado di valutare la complessità attraverso l’impegno del professionista in base ad un cut-off che individua i pazienti ad alta complessità assistenziale se rientrano nel punteggio da 7 a 11, a media complessità da 12 a 19, a bassa complessità se invece il punteggio è compreso tra 20 e 28.
L’utilizzo sinergico della scala MEWS e della scala IDA va a costituire il sistema Tri-Co (Triage di corridoio) in cui come già detto la valutazione del grado di gravità e di dipendenza viene misurata grazie a due sistemi a punteggio, uno medico (MEWS – Modified Early Warning Score) ed uno infermieristico (IDA, Indice di Dipendenza Assistenziale).

– ICA (Indice di Complessità Assistenziale ideata da Bruno Cavaliere) I parametri presi in considerazione per lo sviluppo dello studio in argomento, si identificano con le prestazioni di competenza infermieristica, indicate dal modello delle prestazioni e ne misurano la complessità in relazione all’espressione del continum salute/malattia; in altre parole individuano le finalità che l’infermiere deve realizzare rispetto alla prestazione stessa, mediante la sua comparazione con la condizione dell’individuo rispetto al soddisfacimento dei bisogni di assistenza infermieristica.
Lo strumento consiste nella compilazione di un gruppo di schede di “Rilevazione dell’Indice di Complessità Assistenziale”, cui è unito un protocollo di linee guida, nonché nell’elaborazione dei dati ricavati.
Il metodo ICA è un sistema integrato multidimensionale capace di rispondere efficacemente al problema della misurazione della complessità assistenziale intesa come: classe di gravità dell’utente (problema di salute), complessità dell’offerta assistenziale (obiettivi e interventi di cura ) e grado di “criticità organizzativa” (risorse necessarie e tipologia degli interventi).
Nella metodologia ICA la complessità assistenziale viene misurata indagando l’utente che riceve le cure, il professionista che garantisce gli interventi e la struttura organizzativa in cui devono essere garantite le cure.
Fornisce un sistema completo d’informazioni per supportare i professionisti nella stesura dei “Piani di assistenza personalizzati”.
In particolare fornisce informazioni per migliorare la qualità delle cure attraverso un approccio “managed care”, impiegando lo strumento del Clinical Pathway, attraverso i “modelli di pianificazione”.
Questo approccio consente di definire con maggiore precisione l’offerta assistenziale e il monitoraggio dell’esito del “prodotto” raggiunto (prescrizione, esecuzione e raggiungimento degli obiettivi). Propone un metodo di calcolo per analizzare il “carico di lavoro” e la determinazione del fabbisogno, proponendo un indicatore rispetto alla “priorità d’intervento”. Valuta la tipologia dei “costi” fornendo informazioni dettagliate che consentono di realizzare progetti di riorganizzazione dell’efficienza dei modelli organizzativi rispetto agli standard di cura proposti rendendoli maggiormente sostenibili.

La metodologia degli indici di complessità assistenziale è data da:
- Strumenti di sistema: Dizionari degli interventi, modelli di raccolta dati e modelli di pianificazione
- Indicatori: Indice di Complessità Assistenziale (ICA), Classe di Gravità (CdG), Peso intervento (PI), Livello di Priorità intervento (P), Indice di Criticità di Struttura (ICS)
- Strumenti gestionali: carico di lavoro, determinazione del fabbisogno di personale, pesatura degli interventi e valutazione del ricovero
- Strumenti operativi: pianificazione ed esecuzione interventi e programmazione del carico di lavoro per priorità di intervento
Questo metodo si fonda sui dizionari degli interventi e senza questo elemento la metodologia non può essere implementata.
Ogni disciplina (infermieristica, riabilitativa, ostetrica, etc.) e/o settore di macro-attività (inteso come ambulatoriale, sala operatoria, etc) ne definisce uno proprio.
I dizionari degli interventi hanno la seguente struttura:
• un titolo, che ne definisce la disciplina di riferimento e il campo di applicazione
- le categorie, che consentono di definire le macro-attività (bisogni, modelli di salute, prestazioni infermieristiche, i domini, etc). Per ognuna di esse vengono definiti gli interventi o le azioni di assistenza.
Ogni intervento (derivante da una tassonomia validata, come ad es la Nursing Intervention Classification) è associato a diversi elementi che consentono di descriverne le caratteristiche. Ad ogni intervento viene attribuito un Peso Intervento (PI) che viene determinato attraverso un algoritmo esclusivo ed originale proprio della metodologia, con otto items che analizzano le seguenti caratteristiche:
- il livello di competenza
- il tempo
- il livello di priorità esecutiva
- la tecnica esecutiva,
- l’organizzazione e la logistica
- il rischio clinico
- la tecnologia/apparecchiature
- la tecnica relazionale.
L’ICA viene calcolato attraverso la sommatoria degli interventi a maggior peso di ogni categoria del dizionario defli interventi utilizzato.
Un dizionario con 11 categorie ha un valore ICA massimo pari a 55, mentre un dizionario con 5 categorie ha un valore massimo pari a 25, ma tutti e due i dizionari utilizzano la stessa codifica per determinare la Classe di Gravità (CdG), che può assumere sempre un valore tra 1 e 5.
Questo metodo è stato implementato ad oggi anche in molte aziende ospedaliere italiane poiché offre, attraverso il software, la valutazione di diversi parametri tra cui anche l’analisi dei costi.
– IIA (INDICE DI INTENSITÀ ASSISTENZIALE)
Questo modello focalizza l’attenzione sui concetti di bisogno specifico di assistenza di prestazione infermieristica nonché di azione e di atto infermieristico che la compongono esplicitando le finalità a cui tendere nel soddisfacimento del bisogno della persona (indirizzare, guidare, sostenere, compensare e sostituire).
L’IIA è formato da 10 differenti dimensioni ciascuna valutata con un punteggio da 1 a 4 per “sintetizzare” la condizione del paziente (da autonoma a dipendente) dal punto di vista infermieristico. La scheda di rilevazione è così costituita:
1) nella parte iniziale sono richiesti i dati dell’Azienda Ospedaliera, la data di rilevazione e le informazioni identificative del paziente;
2) seguono 10 caselle in cui sono state dettagliate le condizioni del paziente che determinano la presenza di un bisogno di assistenza infermieristica. Ogni elemento è contraddistinto da un numero (1, 2, 3, 4) che ne identifica immediatamente l’intensità assistenziale specifica;
3) in ogni casella è previsto uno spazio (altro) in cui è possibile annotare elementi diversi da quelli predefiniti, senza l’inserimento di alcun punteggio. Alle 10 caselle segue un griglia riassuntiva finale dove viene indicato, per ogni bisogno di assistenza infermieristica, il valore più alto rilevato durante la valutazione del paziente.
Nell’ultima riga viene riportato il numero di volte che il parametro è stato indicato e l’IIA complessivo attribuito al paziente risulterà essere quello che ricorre con maggior frequenza.

Il progetto sopradescritto prevede che per ogni paziente l’IIA sia valutato due volte nel corso della degenza:
La prima valutazione nelle prime 24 ore dal ricovero, la seconda valutazione il terzo giorno del ricovero.
Secondo gli autori di questo strumento l’IIA consente di fornire una visione della persistenza della dipendenza della persona assistita in quanto, finché tutti i singoli bisogni non sono risolti, l’IIA continua ad indicare la necessità di intervento infermieristico. Potrà diminuire solo se i punteggi più frequenti si riducono, indicando così il miglioramento delle condizioni del paziente.
L’IIA può variare da 1 a 4, indicando i seguenti livelli dipendenza dall’assistenza infermieristica:
Indice 1= la persona è autonoma nel soddisfacimento del bisogno → intensità assistenziale bassa
Indice 2= dipendenza minima della persona → intensità assistenziale medio-bassa
Indice 3= dipendenza elevata della persona → intensità assistenziale medio-alta
Indice 4= forte grado di dipendenza o dipendenza totale → intensità assistenziale alta
– MAP (Modello Assistenziale Professionalizzante): è il modello proposto dalla Federazione Nazionale Collegi IPASVI, che pone l’attenzione sul paziente e sulle variabili cliniche che incidono sulla complessità.
Il metodo MAP nasce in Italia nel 2007 dal lavoro di tre giovani Dottori Magistrali di Scienze Infermieristiche, supportati da un metodologo, uno statista ed un informatico.
Lo studio pilota, condotto nel 2007 nella Regione Piemonte, ha coinvolto pazienti ricoverati in regime ordinario e di one-day surgery.
In seguito, tra il 2008 e il 2009, grazie anche al sostegno della Federazione Nazionale dei collegi IPASVI, si è avviata una sperimentazione multicentrica “MAP” che ha interessato oltre 126 Presidi tra Aziende Sanitarie pubbliche e private del territorio Nazionale.
Il MAP è un sistema per la classificazione dei pazienti basato sulla analisi della complessità, in grado di fornire una visione globale della persona, della sua malattia, delle sue risorse individuali e dell’ambiente più favorevole al suo recupero con il fine ultimo di garantire il raggiungimento del massimo grado di autonomia possibile.
Formato da due strumenti di valutazione, il MAP consente di individuare il carico assistenziale (attraverso uno score che distingue pazienti a complessità BASSA, MEDIO-BASSA, MEDIO-ALTA, ALTA) ed il correlato numero di risorse umane (Infermieri ed OSS) utile ad erogare le prestazioni necessarie.
È uno strumento di valutazione articolato, che indaga la COMPLESSITÀ DELLA PERSONA analizzandone le oltre 60 DIMENSIONI che la connotano (suddivise in DIMENSIONE DELLA STABILITA’ CLINICA, DIMENSIONE DELLA RESPONSIVITA’ E DIMENSIONE DELL’INDIPENDENZA) ed il CONTESTO in cui si situa, consentendo di:
– definire le condizioni di salute dell’assistito
– identificare i bisogni assistenziali e definire gli interventi appropriati
– definire le azioni proprie dei “professional” e quelle attribuibili ad altri operatori
– definire il grado di INTEGRAZIONE professionale
-definire il grado di coinvolgimento del Caregiver.
Con questo metodo di calcolo, in cui i dati vengono inseriti in una tabella e successivamente sommati, è possibile quindi ottenere una misura non solo della complessità assistenziale di ogni singola persona ricoverata, ma anche del tempo da dedicare alle prestazioni clinico-assistenziali e di conseguenza, delle risorse umane necessarie a garantire il servizio.
Essendo costituita da circa 216 voci, i tempi per la compilazione risultano piuttosto lunghi
Tuttavia, dal momento che la raccolta dati è molto dettagliata, può sostituirsi all’ accertamento infermieristico all’ ingresso del paziente o in alcuni casi può essere modificata e ridotta (MAP-r) a seconda delle peculiarità dei vari setting.
Con questo metodo di calcolo, in cui i dati vengono inseriti in una tabella e successivamente sommati, è possibile quindi ottenere una misura non solo della complessità assistenziale di ogni singola persona ricoverata, ma anche del tempo da dedicare alle prestazioni clinico-assistenziali e di conseguenza, delle risorse umane necessarie a garantire il servizio.
NEMS: (Nine Equivalent of Manpower Score): metodo veloce e semplice nella compilazione adatto per le Terapie Intensive. Permette di misurare il carico di lavoro identificando le risorse infermieristiche necessarie in rapporto alle effettive necessità di ogni paziente.
Composto da nove indicatori a punteggio va da 9 a 46 e deve essere rilevato attraverso tre calcoli giornalieri e a fine turno lavorativo (1 punto equivale a 10 minuti di assistenza per turno da otto ore mentre 46 punti equivalgono ad una necessità giornaliera di 1440 minuti di assistenza).
Dalla somma degli indicatori deriva un punteggio collocato nei tre livelli assistenziali; si identifica così il rapporto infermiere/paziente ottimale per quel malato.
Molti altri sono gli strumenti di classificazione a nostra disposizione che possono essere d’aiuto per individuare il livello di cura previsto per quel paziente.
Quello che è bene ribadire è che è importante collocare il paziente giusto nel setting più adeguato, graduando l’intensità di cura ad ogni persona assistita, modulando così risorse, competenze e professionalità, in modo da rispondere ai differenti gradi di instabilità clinica e di complessità assistenziale ricordandosi nel contempo, che una buona gestione del carico di lavoro permette di erogare la giusta assistenza, al paziente giusto e nel momento in cui è necessaria.