Diarrea associata a clostridium difficile: quali livelli di attenzione

Il Clostridium difficile è un bacillo sporigeno anaerobio gram-positivo, appartenente alla famiglia Bacillaceae, che produce due tossine: tossina A e tossina B, responsabili dei quadri clinici associati.

Il Paziente colonizzato da Clostridium difficile è tendenzialmente asintomatico che alberga nell’intestino ceppi di C. difficile (2-3% dei soggetti sani, fino al 20% dei pazienti ospedalizzati) e che presenta diarrea, definita da una varietà di criteri (es.: almeno 6 scariche di feci acquose nelle ultime 36 ore; 3 scariche di feci non formate in 24 ore per 2 giorni o 8 scariche di feci non formate in 48 ore).

La diffusione è ubiquitaria. E’ la causa più comune di diarrea nosocomiale e rappresenta il 15-25% di tutti gli episodi di diarrea associata ad antibiotici (AAD), che può complicarsi con quadro di colite pseudomembranosa, megacolon tossico, perforazione del colon, sepsi e (raramente) morte. La colite da C. difficile è più frequente nei soggetti anziani, defedati, sottoposti a trattamento antibiotico e a interventi chirurgici sull’apparato digerente e in quelli con lunga ospedalizzazione. C. difficile rappresenta uno dei maggiori patogeni nosocomiali sia in pazienti ricoverati in strutture per acuti sia in residenti in lungodegenze; in tali ambiti sono state riportate diverse epidemie e cluster. La colonizzazione intestinale da parte del C. difficile può essere di provenienza endogena e più frequentemente esogena. Solo il 2-3% degli adulti sani sono portatori asintomatici di C. difficile, mentre l’incidenza di portatori asintomatici nei bambini di età inferiore a 1 anno può arrivare sino al 70%. Il tasso di colonizzazione negli adulti ospedalizzati e nei residenti delle lungodegenze varia ampiamente e i tassi di incidenza di diarrea causata da C. difficile in ospedale variano da 1 a 30 casi ogni 1000 dimessi. il serbatoi principale è l’uomo (saprofita intestinale) e l’ambiente esterno (in forma sporigena).

Il clostridium difficile può essere trasmesso attraverso le mani del personale sanitario che ha avuto contatto con persone infette o colonizzate o con superfici ambientali contaminate, oppure attraverso strumentazione contaminata (ad es. endoscopi) o, da paziente a paziente, attraverso la contaminazione delle superfici (durante eventi epidemici, considerare il ruolo della contaminazione ambientale e di articoli contaminati come le sedie igieniche, le vasche da bagno e i termometri). L’acquisizione nosocomiale e la trasmissione crociata è stata dimostrata dalla tipizzazione molecolare e fingerprinting. L’origine endogena dell’infezione è ritenuta rara data la bassa prevalenza di portatori asintomatici. Il periodo di incubazione è variabile, in genere la diarrea si manifesta entro una settimana dall’infezione oppure il paziente rimane asintomatico sino all’esposizione ad antibiotici. Altre volte la diarrea compare alcune settimane dopo la loro sospensione. Le spore presenti nelle feci possono sopravvivere per più di 70 giorni.

 Accertamenti diagnostico

La diagnosi può essere effettuata mediante endoscopia (colite pseudomembranosa), più semplicemente mediante indagini microbiologiche sulle feci. Ricerca dell’antigene nelle feci mediante test di agglutinazione al lattice immunocromatografico – test rapido (< 1 ora) con sensibilità >90%. Non definisce, tuttavia, se il ceppo è tossigenico: deve essere associato alla ricerca della tossina A e/o B o di entrambe. Ricerca della tossina A e/o B o di entrambe mediante EIA – è il test più praticabile di routine (standard diagnosis) in quanto rapido, di basso costo, con specificità >90%. Sono possibili falsi negativi se non è effettuato entro 2 ore dalla raccolta delle feci o se effettuato su feci congelate (instabilità delle tossine). La determinazione solo della tossina A può non evidenziare casi rari di diarrea associata a C. difficile da ceppi produttori solo di tossina B. Le ultime linee guida in termini di diagnosi di CDAD, sia per ottenere livelli ottimali di sensibilità e specificità, sia per ottimizzare il rapporto costo-utilità, indicano di effettuare uno screening iniziale mediante la ricerca del GDH (glutammato deidrogenasi) che individua sia ceppi di Cd tossinogenici che non tossinogenici, e successivamente solo sui campioni positivi, la ricerca delle tossine A e B mediante test immunocromatografico.

Effettuare prontamente la ricerca per le tossine di CD in tutti i casi di diarrea nosocomiale e per tutte le persone che sono ricoverate con diarrea acquisita fuori dall’ospedale; la ricerca non è raccomandata nei soggetti e nei contatti asintomatici, e nei bambini di età < 1 anno. Sospendere la ricerca delle tossine di CD su campioni fecali non appena questo viene diagnosticato.
La ricerca non va ripetuta se positiva (alta specificità) o per stabilire l’avvenuta o meno guarigione (solo parametri clinici). Soltanto quando si sospetta una recidiva di infezione da CD, ripetere i campioni ed escludere altre cause possibili di diarrea. Eseguire i test per la ricerca delle tossine solo su campioni di feci ottenute in corso di diarrea (campioni di feci non formate) a meno che non sia presente un ileo paralitico.

E’ fondamentale adottare precauzioni standard e per contatto. Le precauzioni di isolamento possono essere revocate dopo 48 di assenza di sintomi e dopo il normalizzarsi della peristalsi intestinale. Per le modalità operative gestionali vedere “Misure per la prevenzione e il controllo”.

La normale disinfezione ambientale nelle stanze dei pazienti con CDAD deve essere effettuata con agenti sporicidi, ideali sono gli agenti contenenti cloro (almeno con 1000 p.p.m. di cloro attivo disponibile).

I reparti ospedalieri devono essere puliti con regolarità (almeno una volta al giorno), concentrandosi particolarmente sulle superfici toccate più frequentemente.
Il personale addetto alle pulizie deve essere immediatamente avvisato di una contaminazione ambientale con feci. Si deve provvedere al più presto alla pulizia di tale zona. Per tempi e modi di attivazione della Ditta in gestione appaltata, qualora necessario, seguire le indicazioni aziendali correnti.

I bagni e gli strumenti quali comode o padelle che vengono usualmente contaminate da feci, rappresentano una fonte di spore di CD, pertanto devono essere puliti scrupolosamente. Le comode e le padelle pulite devono essere conservate in un luogo asciutto.

Dopo la dimissione di un paziente con CDAD, le stanze devono essere accuratamente pulite e disinfettate.

Misure per la prevenzione e il controllo

Assicurare gli appropriati e precoci test diagnostici nei casi di diarrea acuta non altrimenti spiegata (soprattutto se associata a terapia antibiotica). La precedente esposizione ad antibiotici è il principale fattore di rischio per la malattia; la misura di controllo più importante per ridurre il rischio è quindi la gestione corretta degli antibiotici. La prescrizione antibiotica (frequenza di utilizzo, durata della terapia e principio attivo) andrebbe rivalutata il prima possibile ed andrebbero evitate accuratamente le molecole ad alto rischio di sviluppare una CDAD (ad esempio cefalosporine, fluorochinoloni, clindamicina) nei pazienti a rischio. Utilizzare questi antibiotici solo quando clinicamente necessario.

Sospendere ogni terapia antibiotica, non correlata ad una infezione da Clostridium difficile, in pazienti con CDAD non appena possibile.

I pazienti con CDAD rappresentano una fonte di diffusione del patogeno ad altri, pertanto, quando possibile, devono essere isolati in stanze singole. Non è indicato il trasferimento presso l’U.O. Malattie Infettive.

Si deve assegnare un apposito bagno o una comoda per i pazienti con CDAD. Se non è possibile effettuare l’isolamento in stanza singola, si deve adottare l’isolamento in coorte; I pazienti ricoverati nella coorte devono essere gestiti da personale in modo dedicato per minimizzare il rischio di infezioni crociate ad altri pazienti. Per modo dedicato si può intendere una modalità di gestione dell’assistenza del paziente che escluda o ponga particolare attenzione ad azioni che generino promiscuità.

Chiunque entri nella stanza/ambiente del paziente, compresi gli operatori sanitari ed i visitatori, deve essere informato sulle manifestazioni cliniche, sulle modalità di trasmissione e sulla epidemiologia della CDAD.

Le precauzioni di isolamento possono essere revocate dopo 48 di assenza di sintomi e dopo il normalizzarsi della peristalsi intestinale.

Oltre all’utilizzo dei guanti, è raccomandata una meticolosa igiene delle mani con acqua e sapone, da parte di tutto lo staff, dopo il contatto con fluidi corporei o dopo ogni potenziale contaminazione delle mani avvenuta durante la cura dei pazienti con CDAD diagnosticata.
L’azione fisica di frizione e risciacquo (lavaggio mani) è l’unico modo per rimuovere le spore dalle mani. Il lavaggio delle mani è inoltre raccomandato dopo la rimozione di guanti e sopracamici utilizzati per la cura dei pazienti.

Il lavaggio delle mani dovrà essere effettuato con sapone liquido per almeno 15 secondi e con tecnica corretta. Va considerato che nessun prodotto, alle concentrazioni utilizzabili per le mani, è efficace contro le spore di C. difficile (uso dei guanti!!), ribadendo perciò che il lavaggio ha soprattutto un’azione meccanica di riduzione delle spore. E’ necessario un corretto utilizzo dei lavandini per non re-infettarsi (chiudere il rubinetto con la carta, dopo essersi lavati). Non vi sono indicazioni sull’utilizzo di saponi contenenti sostanze antisettiche.

Anche il paziente dovrà lavarsi le mani con sapone liquido, specialmente dopo l’uso del bagno e prima di assumere alimenti. Dovrà essere indicato il lavaggio delle mani anche ai visitatori. La frizione con soluzioni alcoliche non deve essere l’unica modalità di igiene delle mani se si hanno contatti con pazienti con infezione da CD sospetta o accertata.

Gli operatori devono indossare i guanti durante i contatti con i pazienti con CDAD e anche quando si viene a contatto con fluidi corporei e/o con superfici inanimate potenzialmente contaminate (incluse le immediate vicinanze del paziente). Indossare i guanti prima di entrare nella stanza; cambiarli dopo contatto con materiale visibilmente contaminato; lavaggio delle mani dopo rimozione.

Sopracamici protettivi devono sempre essere utilizzati nella gestione di pazienti con diarrea. (Indossare prima di entrare nella stanza e per tutta la permanenza nella stanza).

Valutare l’opportunità di fornire dispositivi di protezione personale (guanti e sopracamici) anche ai visitatori.

L’uso di materiale monouso, per quanto possibile, deve essere preferito. I dispositivi medici riutilizzabili e le attrezzature al termine dell’utilizzo dovranno essere sottoposti ad idonei trattamenti di decontaminazione, pulizia, disinfezione con agenti sporicidi o, se possibile, sterilizzazione. Per quanto possibile, riservare ad uso personale del singolo Paziente durante la degenza anche i dispositivi riutilizzabili.

Evitare l’uso promiscuo di dispositivi medici dedicati (es. termometro, fonendoscopio, padella, pappagallo, ecc.). Si ricorda l’importanza di garantire un adeguato trattamento igienico dei supporti per padelle monouso tra utilizzi successivi, criterio peraltro da adottare in tutte le Unità Operative e Servizi indipendentemente dalla tipologia di paziente e dalla patologia da cui è affetto.

Tutti gli effetti letterecci, poiché da considerarsi potenzialmente infetti, devono essere smaltiti come materiale infetto (per le modalità attenersi ai documenti aziendali).

Approfondimento:

  • Agenzia Sanitaria Regionale – Dossier 123-2006 “Epidemie di infezioni correlate all’assistenza sanitaria – Sorveglianza e controllo”
  • “Infection control measures to limit the spread of Clostridium difficile.” – Clinical Microbiology and Infection, Vol. 14, Supplement 5, Maggio 2008
  • Clinical practice guidelines for Clostridiun difficile Infection in Adults: 2010 Update by the Society for Healthcare Epidemiology of America (SHEA) and the Infectious Diseases Society of America (IDSA)
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    By: Emanuele

    Sono autore e direttore scientifico di numerose riviste, fondatore del GINP (Gruppo Infermieri Neurologia Pediatrica) ed editor in chief di Academy Case Management Italia. Mi Impegno da tempo per il riconoscimento dell’infermiere specialista dell’epilessia (ESN) e collaboro con alcuni centri internazionali di Case Management anche per la diffusione di modelli assistenziali innovativi orientati alla persona. Sono infermiere di area pediatrica, study coordinator certificate GCP e, nel corso degli anni, ho implementato il pensiero organizzativo Lean Thinking in alcuni setting infermieristici. Uno dei miei interessi è il benessere organizzativo e il bene comune, nonché la diffusione scientifica purché rigorosa di una metodologia EBP, in un’ottica open access. Dopo numerosi incarichi istituzionali e di docenza, attualmente, sono coordinatore infermieristico presso il Policlinico Universitario S.Orsola-Malpighi di Bologna.

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