Evidence Based Design (EBD): struttura, luoghi. ambienti e spazi che migliorano l’apprendimento e la cura dei pazienti
Evidence Based Design è un metodo teorico e pratico di ricerca progettuale che viene utilizzato per comprendere come l’ambiente costruito influenzi il comportamento degli individui. Viene utilizzato per sviluppare la ricerca di informazioni che fornisce un quadro di programmazione e pianificazione. Sebbene l’EBD si fondi sulla ricerca empirica, rappresenta un metodo focalizzato sulla costruzione di sistemi tecnologici, sistemi informatici e programmi di manutenzione degli edifici. Questo approccio, tuttavia, rimane limitato alla valutazione di come questi sistemi e programmi influenzino gli occupanti dell’edificio. Esso generalmente non assurge a metodi interdisciplinari e globali, che enfatizzano l’integrazione dello sviluppo sociale, come parte del rapporto tra l’uomo e l’ambiente costruito. La progettazione Evidence Based Design è intesa dai suoi sostenitori (Cama, 2009; Watkins e Hamilton, 2009) come un processo progettuale la cui chiave relativa al miglioramento sembra essere il modo in cui tale processo viene gestito. Essa stabilisce in via preliminare specifici obiettivi misurabili ed effettua la valutazione del progetto in base a quanto esso risulti conforme a tali obiettivi. Per l’esplicarsi di detto processo sono utilizzati metodi di ricerca multipli: studi quantitativi, studi comparativi, studi osservativi e interviste. Dopo gli ospedali, sostengono Watkins e Hamilton, L’EBD può essere descritto come un processo che abbraccia una prospettiva più in sintonia con il determinismo architettonico , affermano Bell, Greene, Fisher, e Baum, (2001), che dimostra in quale misura l’ambiente fisico influenza il comportamento. Si tratta dunque di un approccio di stimolo-risposta alle relazioni uomo-ambiente che, in ambito educativo, deve assumere la relazione di congruenza nella pratica quotidiana.
La progettazione EBD considera come il design del luogo risponda alle esigenze del personale e delle persone che lo frequenteranno e affronti la corrispondenza tra obiettivi fissati, risultati raggiunti e aspetti dell’ambiente fisico, comportamentali individuali e collettivi. Secondo Michelson, la pratica visualizza l’ambiente fisico come un sistema in evoluzione con i vari sottosistemi facilmente e specularmente riordinati o sostituiti, in risposta ai mutevoli obiettivi della condizione umana e delle condizioni esterne. In ciò, il mantenimento di congruenza e di corrispondenza degli ambienti nei confronti degli utenti, in particolare degli ambienti di apprendimento, in cui le motivazioni risultano unicizzate. Il modello proposto ad esempio dagli architetti Moore e Lackney, basa la progettazione di strutture educative sulla ricerca empirica che proviene da Europa e Stati Uniti e sull’analisi degli elementi che derivano dalla pratica didattica.
Evidence-based design approach e luoghi di cura
Nel 1995 usciva sul New England Journal of Medicine un articolo di Horsburgh dal titolo Healing by design che, nel suo passo più significativo, affermava che «Medical care cannot be separated from the buildings in which it is delivered. The quality of space in such buildings affects the outcome of medical care, and architectural design is thus an important part of the healing process».
Il primo studio sperimentale condotto in questa direzione fu sviluppato da Roger Ulrich che osservò i processi di guarigione di pazienti chirurgici collocati in stanze di degenza con differenti condizioni ambientali: i pazienti collocati nelle camere che potevano godere della vista sulla natura venivano dimessi percentualmente prima dei pazienti ospitati nelle camere che affacciavano su un muro di mattoni.
Si trattava del primo passo verso un approccio alla progettazione e alla gestione degli organismi ospedalieri che, oltre a mettere al centro il paziente o – in maniera più corretta e ampia – l’utente, lo considerava un soggetto interagente non solo con le terapie e i trattamenti, ma anche con l’ambiente ospedaliero che lo circondava. Un ambiente fatto prevalentemente di spazi, ma anche di percezioni, relazioni e rapporti sociali.
È sulla base della convinzione che anche l’ambiente costruito possa influenzare il benessere psico-fisico e gli outcome clinici dei pazienti che si diffonde negli anni ’90 l’Evidence Based Design (EBD) Approach, con l’obiettivo di approfondire come le caratteristiche spaziali, funzionali, relazionali e psico-percettive dell’ambiente siano in grado di contribuire ad accelerare il percorso di cura, a ridurre le cause di complicazioni cliniche, a massimizzare le condizioni di sicurezza o viceversa.
Una delle prime ricerche che fanno riferimento a questo approccio viene sviluppata nel 2004 dai ricercatori della Texas A&M University e del Georgia Institute of Technology che rilevano, verificano e sistematizzano un grande numero di evidenze sulla relazione tra alcune scelte progettuali e le ricadute di queste sul decorso clinico dei pazienti. A questa fa seguito il rapporto A review of the research literature on evidence-based healthcare design che, sulla base di “600 rigorous empirical studies”, raccoglie e implementa le evidenze indagate nella precedente ricerca e organizza i risultati in 3 categorie di outcome: patient safety issues, patient outcomes, staff outcomes.
Nonostante la grande diffusione dei risultati della ricerca e il particolare interesse stimolato dagli argomenti trattati, l’EBD rimane tuttora un approccio che suscita reazioni controverse nell’ambito della comunità scientifica. Data la numerosità delle tematiche affrontate, alcuni ricercatori ritengono che gli empirical study ad oggi condotti non siano sufficienti a costituire una massa critica capace di collocarsi alla base della conoscenza. Per quanto i detrattori ritengano che l’approccio sia privo di una teoria scientifica di base di tipo rigoroso, la sua diffusione nel campo della ricerca a supporto della progettazione di strutture ospedaliere è stata ampia al punto da fare nascere numerose organizzazioni ed enti impegnati nella ricerca in chiave EBD. La diffusione dei risultati ha contribuito a sensibilizzare progettisti e gestori delle strutture sanitarie nei confronti delle caratteristiche di qualità e sicurezza degli spazi per le cure, indipendentemente da percentuali e dati numerici portati a dimostrazione dei miglioramenti imputabili a quella soluzione spaziale piuttosto che organizzativa.
Conclusioni
Su questa convinzione possiamo affermare che i luoghi migliorano l’apprendimento e la salute anche di chi vi lavora e, se adeguatamente ottimizzati, la cura dei pazienti. Per quanto gli infermieri possano essere anche in questo contesto utili (ma non adeguatamente considerati), anche in questo campo rappresentano una notevole risorsa. Gli infermieri, “vivono” gli spazi di reparto e possono contribuire a realizzare ambienti coerenti con le logiche del paziente e della sua patologia, agendo direttamente sugli spazi e sulla gestione dei materiali in essa contenuti.
Bibliografia e approfondimenti
Horsburg CR. Healing by design. The New England Journal of Medicine, September 14, 1995.
Ulrich RS. View through a window may influence recovery from surgery. Science, 27 April 1984, Vol. 224, no. 4647, pp. 420-421.
Ulrich RS, Zimring CM, Quan X, Joseph A. Choudhary R. The role of the physical environment in the hospital of the 21st Century. Research report per The Center for Health Design (ricerca finanziata dalla Robert Wood Johnson Foundation), Settembre 2004.
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