Realtà o Virtuale? 
Tecnologie vecchie e nuove interagiscono con la Psicologia
di Migliori Matteo psicologo esperto di realtà virtuale, membro di Arcadia e GINP (gruppo infermieri neurologia pediatrica)

Realtà virtuale

Tecnologia oggi

È sempre più diffusa una certa confusione nel distinguere la tecnologia dal dispositivo tecnologico. In effetti, cade in secondo piano il significato di tecno-logia: la sinergia tra logica e tecnica, un connubio che trova la sua chiave di volta nei principi di efficienza ed efficacia.

Qual è la strada migliore da percorrere per ottenere un determinato risultato? A questa risposta si può far calzare la definizione di tecnologia. Il dispositivo ne è una naturale conseguenza.

Questa confusione, in quanto tale, diviene facilmente agente del caos e porta a paradossi da parte dei consumatori come chiedere rateizzazioni finanziarie per un nuovo TV 52” – 4K e insieme fare restrizioni su alimenti e salute, ed a manifestare uno stile economico che difficilmente veste i panni di efficacia ed efficienza.

Fortunatamente, lontani dagli aspetti commerciali di massa, emergono altri trend a proposito della tecnologia. Questa raggiunge ormai in modo sempre più massiccio la ricerca scientifica, le applicazioni sanitarie ed industriali, ed allarga gli orizzonti con una forbice delineata da costi sempre minori per i dispositivi, da una parte, e dispositivi sempre migliori, dall’altra.

Un esempio ne è la Realtà Virtuale (RV): nasce una ventina d’anni fa come proibitiva frontiera cinematografica ed oggi raggiunge le consolle per videogiochi a prezzi accessibili. Un caschetto per la RV che 5 anni fa costava 10.000€ oggi viene surclassato da un prodotto di 400€ con caratteristiche tecniche di gran lunga superiori.

Ma, come dicevamo prima, questo è il dispositivo tecnologico: proviamo a delucidare esattamente quale sia la tecnologia alla base della RV.

Realtà o Virtuale?

Il grado di interazione biunivoca tra uomo e macchina, attraverso un insieme di dispositivi informatici, definisce l’esperienza di RV (Ellis, 1994): navigo all’interno di uno spazio creato da sviluppatori informatici che nella realtà fisica non esiste se non secondo una serie di stringhe di codice. Al suo interno mi muoverò, vedrò oggetti predisposti a certe azioni (Gibson, 2000; Jones, 2003), imparerò percorsi di quest’ambiente simulato (Nori et al., 2015) e mi divertirò a cercare il boss finale ed eliminarlo per finire il videogioco. Questa è l’esperienza tipica appunto del videogiocatore: proviamo a dedurne quindi le componenti essenziali.

La presenza: quanto mi sento all’interno dell’esperienza, seppur simulata, è uno dei fattori chiave (Riva et al., 2003). Viene modulata attraverso dispositivi più o meno immersivi, il caschetto per la RV o un televisore, ad esempio, hanno differenti gradi di immersività: questa proprietà è infatti la possibilità di far “scomparire” il medium dall’attenzione consapevole dell’utilizzatore(Morganti e Riva, 2006). Altra parola chiave è senza dubbio l’esperienza: la cognizione, la rappresentazione mentale di un ambiente, passa attraverso l’apprendimento delle proprietà dell’ambiente stesso e dell’esperienza legata al suo apprendimento, che a sua volta indirizzerà le mie esperienze future e quindi nuovi apprendimenti, come descritto nella teoria della Cognizione Situata (Clancey, 1997). “Vedo che se vado a destra il corridoio porta a un vicolo cieco, torno indietro e salgo le scale”. Questa successione di azioni, esperienza, formerà una mappa mentale dell’ambiente.

Ricopre tuttavia il ruolo cruciale l’emozione legata all’esperienza che provo. Imprescindibile da ciascuna esperienza umana, la componente emotiva non solo arricchisce o motiva l’esperienza, ma ne è la parte centrale: milioni di situazioni quotidiane e routinarie, che non abbiano suscitato un carico emotivo, sono state da noi dimenticate e ci sono scivolate addosso. Ma con quale trasporto abbiamo guidato in videogiochi di macchine? E curvando con la macchina del videogioco non ci siamo inclinati noi stessi sulla poltrona? Se il pugno che dovevamo sferrare col nostro personaggio era decisivo non spingevamo il tasto con più forza?

Qualcosa di simile accade quando si accetta l’artefatto del cinema, sappiamo che non è reale, ma una scena di un romantico bacio di due amanti che si salutano per sempre ci ha commosso. Una scena macabra ci ha impressionato ed una scena d’azione ci ha coinvolto. Esperienze soltanto mentali, non corporee, ci hanno emozionato e in un qualche modo cambiato.

Ma sono reali? E quell’emozione è reale?

 Cosa è successo? Un’ambientazione artefatta, una scena virtuale, un’esperienza a cavallo tra due mondi: il reale e il virtuale. Un’emozione reale. Questa è la RV.

Freud stesso cercava di studiare la mente quando questa non fosse veicolata dalla corporeità, studiandone l’attività onirica (Freud, 1899). Cercava forse quella dissociazione che abbiamo con la RV? Oggi abbiamo accesso a questo ed anche di più: non ci limitiamo a studiare l’esperienza mentale scevra dalla corporeità, possiamo addirittura guidarla attraverso ambienti sotto il controllo del terapeuta, dello psicologo, del coach, del pedagogista e di tutte le figure professionali che possono ora offrire uno strumento utile a fare simulazione in modo consapevole.

Il pilota d’aerei impara a volare sul simulatore e, con adeguati protocolli, chi ha difficoltà a parlare in pubblico può imparare a farlo senza i rischi di un’esperienza in vivo, ma con il vantaggio di arricchire un suo bagaglio di esperienze e di emozioni suscitate anche dalla consapevolezza di essere competenti di fronte a ciò che prima ci annichiliva.

Sono nati negli anni protocolli di ricerca-intervento per diversi disturbi: Disturbi d’Ansia, Disturbo Post-Traumatico da Stress, Fobie Specifiche, Disturbi Alimentari e, spingendosi, Disturbi Sessuali (impotenza ed eiaculazione precoce) (Botella et al., 2004) e, ancora oltre, riabilitazione neuromotoria e deficit delle funzioni cognitive (Rose et al., 2005).

Si aprono infatti le porte ad un nuovo approccio, partendo dalla Terapia Cognitiva Comportamentale (TCC) verso una Terapia Cognitiva Esperienziale (TCE) (Riva et al., 2006). Vincelli e colleghi (2003) hanno condotto uno studio su 12 pazienti con Disturbo da Attacchi di Panico con Agorafobia divisi in 3 gruppi: TCE (con l’utilizzo della Realtà Virtuale – 8 sessioni), TCC (12 sessioni) e Gruppo di controllo in lista d’attesa. In entrambi i gruppi di trattamento è avvenuta una significativa riduzione del numero di attacchi di panico e dei livelli di ansia e depressione annessi: la TCE con il 33% di sessioni in meno rispetto alla TCC.

In linea con la review di Botella e colleghi (2004), l’utilizzo di questo nuovo approccio non stravolge i paradigmi solidi utilizzati dalla TCC, ma li integra e li arricchisce di un elemento esperienziale sotto il controllo del terapeuta. Ne consegue che i disturbi in cui si possano apprezzare tali vantaggi siano sovrapponibili ai disturbi nei quali attualmente la TCC porta un miglioramento significativo.

Essa è quindi atta a potenziare l’efficacia e l’efficienza, attraverso anche l’aderenza al trattamento (riduzione del drop-out dalla terapia), la curiosità, la rivalutazione del concetto stesso di terapia e di setting psicologico da parte del paziente, e la presenza di un ambiente “protetto”, in quanto virtuale, in cui potersi sperimentare privi di paura, testare nuove strategie, sentirsi e sperimentarsi competenti (Bandura, 1977).

La critica che spesso mi è stata rivolta è chiaramente “ma poi la persona porta le modificazioni apprese nella sua vita reale?”. La persona avrà lavorato per costruire e ricostruire una sua realtà percettivo-reattiva che guiderà le sue esperienze future ed i seguenti apprendimenti, come descritto nella teoria della Cognizione Situata (Clancey, 1997). Abbandonando quindi la linearità di un pensiero strettamente positivista ed abbracciando la circolarità tra causa ed effetto tra apprendimento ed esperienza, la persona dinamicamente rappresentata sarà inevitabilmente diversa, poiché si sarà costruita e ricostruita ed il mondo e la realtà che vedrà li vedrà con occhi diversi.

Ogni esperienza ci modifica, anche un brutto sogno può farci vivere col malumore o preoccupazione la mattinata e vedere che non ne va una per il verso giusto: anche se non era reale, l’emozione a lui connessa lo è.

L’ambiente è virtuale ma l’esperienza è reale. 

Riferimenti bibliografici

  1. Bandura (1977). Self-efficacy: Toward a unifying theory of behavior change, Psychological Review,84, 191-215.
  2. Botella, C., Quero, S., Baños, R.M., Perpiña, C., Garcia Palacios, A. & Riva, G. (2004). Virtual Reality and Psychotherapy. Cybertherapy, Internet and Virtual Reality as Assessment and Rehabilitation Tools for Clinical Psychology and Neuroscience, 3, Amsterdam IOS Press.
  3. Clancey, W.J. (1997). Situated Cognition. New York: Cambridge University Press.
  4. Ellis, R.E. (1994). What are virtual environments? IEEE Computer Graphics and Applications, 14 (1), 17-22.
  5. Freud, S. (1899). Die Traumdeutung, Franz Deuticke, Leipzig und Wien. Edizione italiana L’interpretazione dei sogni
  6. Gibson, E.J. (2000). Where is the information for affordances? Ecological psychology, 12 (1), 53-56.
  7. Jones, K.S. (2003). What is an affordance? Ecological psychology, 15(2), 107-114.
  8. Morganti, F., Riva, G. (2006). Conoscenza comunicazione e tecnologia. Aspetti cognitivi ella realtà virtuale. Milano: Led Edizioni Universitarie.
  9. Nori, R., Piccardi, L., Migliori, M., Guidazzoli, A., Frasca, F., De Luca, D. & Giusberti, F.(2015). The Virtual Reality Walking Corsi Test. Computers in Human Behavior, vol. 48, 72-77.
  10. Riva, G., Davide, F., IJsselsteijn, W.A. (2003). Beig there: Concepts, effects and measurements of user presence in sinthetic environments. Amsterdam: IOS Press.
  11. Riva, G., Botella, C., Légeron, P. & Optale, G. (2006). Virtual Reality in Psychotherapy. Cybertherapy, cap 3, Amsterdam, IOS Press.
  12. Rose, F.D., Brooks, B.M., Rizzo, A. A. (2005). Virtual Reality in Brain Demage Rehabilitation: Review. CyberPsychology & Behaviour, 8, 3, 241-271.
  13. Vincelli, F., Anolli, L., Bouchard, S., Wiederhold, B.K., BCIA, Zurloni, V. & Riva, G. (2003). Experiential Cognitive Therapy in the Treatment of Panic Disorders with Agoraphobia: A Controlled Study. CYBERPSYCHOLOGY & BEHAVIOR, 6, 3, 321-328.

Per approfondimenti: GINP, Arcadia: progettoarcadia2@gmail.com, Dr.Matteo Migliori: dr.matteo.migliori@gmail.com

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