Ridurre gli sprechi e premiare il rigore scientifico nella ricerca biomedica: la campagna Lancet-REWARD

Secondo stime relative al 2010, le spese globali per la ricerca scientifica ammontano ad oltre 240 miliardi di dollari: se questi investimenti hanno indubbiamente determinato rilevanti miglioramenti di salute delle popolazioni, ulteriori traguardi potrebbero essere raggiunti eliminando sprechi e inefficienze nei processi con cui la ricerca viene commissionata, pianificata, condotta, analizzata, normata, gestita, disseminata e pubblicata. Oggi, infatti, la ricerca biomedica è afflitta da un fenomeno imbarazzante e sempre più diffuso: numerose scoperte inizialmente promettenti non determinano alcun miglioramento nell’assistenza sanitaria perché molti studi non riescono a concretizzare robuste evidenze da integrare nelle decisioni che riguardano la salute delle persone (1).

Il quadro sopra descritto consegue a un complesso sistema di azioni e relazioni tra diversi attori della ricerca, ciascuno dei quali agisce in sistemi che presentano rischi e fattori incentivanti. Le azioni risultano dall’interazione tra capacità (intellettive e fisiche del singolo di affrontare azioni specifiche), opportunità (fattori esterni all’individuo che rendono possibili le azioni) e motivazioni (driver che motivano e guidano i comportamenti).

Nel 1994 Douglas Altman nello storico editoriale The Scandal of Poor Medical Research denunciava la scarsa qualità nel disegno e nel reporting della ricerca, affermando che “ogni anno ingenti somme di denaro vengono investite per condurre ricerca gravemente viziata da disegni di studio inappropriati, campioni piccoli e non rappresentativi, metodi di analisi inadeguati e interpretazioni distorte” (2). Da allora le problematiche si sono moltiplicate e si sono accumulate consistenti evidenze del loro impatto, facendo emergere ulteriori preoccupazioni sulla scarsa qualità della ricerca.

Nel 2009 Chalmers et Glasziou identificavano le principali fonti di sprechi evitabili nella ricerca biomedica: quesiti di ricerca irrilevanti, qualità metodologica inadeguata, inaccessibilità dei risultati, studi distorti da reporting selettivi e altri tipi di bias (3). Senza considerare le inefficienze delle fasi di regolamentazione e gestione della ricerca gli sprechi ammonterebbero all’85% degli investimenti, un impatto talmente elevato che la discussione innescata da quell’articolo ha generato numerosi eventi finalizzati a esplorare strumenti e strategie per affrontare una situazione non più accettabile.

Nel 2012 la consapevolezza di questi fenomeni è stata accelerata dalla pubblicazione di Bad Pharma, saggio di Ben Goldacre che ha definito con estrema chiarezza le conseguenze per la salute pubblica che emergono dalla mancata pubblicazione o dal reporting selettivo degli outcome nella ricerca sponsorizzata dall’industria del farmaco (4). Questi problemi sono stati documentati per la maggior parte di aree della ricerca: farmacologica e non, di base e applicata, osservazionale e sperimentale, sugli uomini e sugli animali.

Nel 2013 una maggiore consapevolezza su questi temi ha favorito il lancio della campagna AllTrials (5), che chiede di registrare tutti i trial clinici e di pubblicarne tutti i risultati (6).

Nel gennaio 2014 The Lancet ha pubblicato la serie Research: Increasing Value, Reducing Waste (7) documentando che per aumentare il ritorno degli investimenti della ricerca (value) è necessario stabilire priorità più rilevanti (8), migliorare disegno, conduzione e analisi (9), ottimizzare le procedure di gestione e regolamentazione (10), garantire un adeguato reporting (11) e una migliore usabilità della ricerca (12). È stata quindi costituita la REWARD (REduce research Waste And Reward Diligence) Alliance (13) e lanciata la campagna Lancet-REWARD (14) che ha pubblicato il REWARD Statement (box) e le raccomandazioni con relativi indicatori di monitoraggio su cinque aree di potenziali sprechi della ricerca biomedica (figura): rilevanza della ricerca, adeguatezza del disegno dello studio, dei metodi e delle analisi statistiche, efficienza dei processi di regolamentazione e gestione, completa accessibilità ai dati, usabilità dei report.

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    By: Emanuele

    Sono autore e direttore scientifico di numerose riviste, fondatore del GINP (Gruppo Infermieri Neurologia Pediatrica) ed editor in chief di Academy Case Management Italia. Mi Impegno da tempo per il riconoscimento dell’infermiere specialista dell’epilessia (ESN) e collaboro con alcuni centri internazionali di Case Management anche per la diffusione di modelli assistenziali innovativi orientati alla persona. Sono infermiere di area pediatrica, study coordinator certificate GCP e, nel corso degli anni, ho implementato il pensiero organizzativo Lean Thinking in alcuni setting infermieristici. Uno dei miei interessi è il benessere organizzativo e il bene comune, nonché la diffusione scientifica purché rigorosa di una metodologia EBP, in un’ottica open access. Dopo numerosi incarichi istituzionali e di docenza, attualmente, sono coordinatore infermieristico presso il Policlinico Universitario S.Orsola-Malpighi di Bologna.

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